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“ELOISA”

Aggiornamento: 20 mag 2021

Dallo spettacolo teatrale omonimo; produzione e realizzazione Carciofirossi


Breve biografia di Eloisa:

Eloisa nacque tra il 1090 e il 1100 nell'Île de la Cité di Parigi. Adolescente, venne affidata al fratello di sua madre, il canonico Fulberto di Notre-Dame. Studiò nel convento di Argenteuil, attendendo con impegno alle arti liberali (dalla grammatica alla retorica, fino alla geometria e all'astronomia) e padroneggiando il latino, il greco e l'ebraico. L'abate di Cluny Pietro il Venerabile scrisse di lei che, da studentessa, era «celebre per erudizione».

Eloisa conobbe Pietro Abelardo intorno al 1117, quando ella già era conosciuta «per la sua cultura letteraria senza pari», stando all'Historia calamitatum. Eloisa studiò logica sotto Abelardo alla scuola di Sainte Geneviève, ma presto il rapporto maestro-allieva si trasformò in una relazione amorosa. Abelardo compose per Eloisa liriche d'amore che giunsero all'orecchio dei suoi studenti e si diffusero in tutta Parigi, diventando assai popolari. Rimasta incinta, Abelardo la rapì e la condusse al proprio paese natale di Pallet, nell'allora Bretagna minore, ospitandola nella casa della sorella: qui nacque nel 1118 il figlio Astrolabio.

Abelardo dichiarò di essere disposto a sposare Eloisa, a condizione che il matrimonio rimanesse segreto in quanto chierico. Eloisa era contraria al matrimonio, come documentano le sue lettere riportate nella Historia calamitatum. Eloisa e Abelardo si sposarono a Parigi, ma nonostante il segreto, la notizia venne divulgata. Per evitare scandali, Abelardo inviò Eloisa nel monastero di Argenteuil dove era stata educata. I parenti, convinti che Abelardo avesse costretto Eloisa a farsi monaca per liberarsi di lei, decisero di vendicarsi: una notte, mentre Abelardo dormiva nella sua casa, tre uomini lo aggredirono e lo castrarono. In seguito due di essi verranno catturati e, secondo la legge del taglione, accecati ed evirati a loro volta, mentre Fulberto, il mandante dell'aggressione, verrà solo sospeso dai suoi incarichi.

Nel 1129 Eloisa e le sue consorelle furono espulse dal convento di Argenteuil dall'abate Sugerio di Saint-Denis. In loro aiuto accorse Abelardo, il quale permise che le monache prendessero possesso dell'oratorio del Paraclèto da lui fondato nella regione della Champagne. In qualità di badessa, Eloisa guidò l'oratorio rendendolo un'istituzione fiorente, e fondamentale centro di cultura della Francia nord-orientale.

Morì il 16 maggio 1164.

ELOISA

La donna, sente vivo l’amore per l’uomo, un “amore” assoluto,

inesorabile, inaccessibile, che la condurranno attraverso tragiche circostanze,

suo malgrado, nella disperazione e nell’abbandono;

e da quel luogo di dolore, attraverso una lunga e dolorosa “passione interiore”,

all’Amore.


In un’introspezione genuina e dolente, che non rifiuterà, mistificandoli,

i doni e le conseguenze dell’amore carnale;

in un atteggiamento che precorre i tempi,

Eloisa, si rivelerà oltre la “ragione”;

oltre il peccato e la colpa, fuori da ogni consuetudine.


Come dirà in una delle sue lettere:

“Voglia il cielo che l’animo dolente sia pronta a obbedire.

Che importa ormai quello che avevamo voluto, Dio ci ha condotti la dove non volevano”

“FEDE E RAGIONE”

(Ipotetico dialogo su Fede e Ragione, tra Pietro Abelardo, e Bernardo di Chiaravalle con intervento finale di Eloisa)

BERNARDO: Stessero davvero chiusi nei cassetti i tuoi veementi scritti, invece di venir letti in pubblico!

I suoi libri volano; odiano la luce perché sono perversi, ma si spingono contro la luce, credendola tenebra.

In città e in castelli si diffondono le tenebre invece della luce.

Si discute dei vizi e delle virtù senza moralità, dei sacramenti della Chiesa senza fede, del mistero della santa Trinità senza schiettezza né prudenza; e tutto ci viene somministrato perversamente, tutto in modo insolito e fuori dalla tradizione”


ABELARDO: Si è vero…la distanza tra il dominio della logica e quello della fede è incommensurabile, “senza misura comune”; ciò però non significa che l’uomo non possa usare la ragione e la logica per delucidare le verità di fede, poiché in realtà così hanno fatto tutti i dottori della Chiesa fin dai tempi apostolici.

Sant’Agostino dice: “non cerco di capire per credere, ma credo per capire”.

Pur essendo rivelata la verità, nei suoi preliminari è possibile dimostrarla.

Tutto il mio insegnamento è, semplicemente, teso ad affrontare gli aspetti della fede attraverso il ragionamento.

Ma vedo che la logica mi ha reso odioso al mondo.

BERNARDO: La dottrina d’amore è drammatica e densa. L’amore è affetto, ossia slancio verso l’altro ed è anche desiderio, una penosa sensazione di mancanza. Entrambi gli aspetti affondano le radici nella carne, si presentano come istinti “voraci e violenti” e la strada per sublimarli e portarli all’oggetto per eccellenza, Dio, è lunga e difficile.

Anche l’amore sublime sembra rivelare le tracce della sua genesi carnale: la dialettica fra sofferenza e gioia, tipica dell’amore. La pienezza della gioia non consuma il desiderio, “è come l’olio che ha alimentato la fiamma”: è la gioia ad eccitare la pena di una nuova ricerca dell’amato.

La ragione di amare Dio è Dio stesso”.

La misura di questo amore è di amarlo senza misura; prima viene l’amore, non il ragionamento.

“L’amore è l’unico di tutti i moti le affezioni i sentimenti dell’anima con cui la creatura possa trattare col suo Creatore. Quando Dio ama, non vuole altro che essere amato, ama per essere amato, sapendo che l’amore renderà felici tutti coloro che lo ameranno”.

Nessuno può cercarti che non ti abbia già trovato; tu dunque vuoi essere trovato per essere cercato, cercato per essere trovato. La stessa parola divina resterà preclusa a chi la legge senza amore. L’amore parla.

Se si vuole comprendere ciò che vi si legge, occorre amare. Si leggerebbe o si ascolterebbe invano il canto dell’amore se non si amasse; un cuore freddo non può comprendere la parola di fuoco…”.

ABELARDO: Pur riconoscendo l’acutezza del mio ingegno, mi neghi la purezza della fede cristiana. In questo, mi sembra, tu mi giudichi lasciandoti trascinare dalle tue opinioni personali più che sulla base di dati precisi.


BERNARDO: Tu chiami “problema” ciò che è un “mistero”.

Ti affanni quanto più ti è possibile per fare di Platone un cristiano, ma in realtà così facendo rendi te stesso pagano. Con sufficienza immagini di poter fondere sulla ragione la fede.

Aspiri a ciò che è più alto di te, scruti ciò che è più forte di te, ti avventi sui misteri divini, profani le cose sante invece di spiegarle; non schiudi ciò che è chiuso e sigillato, lo rompi; e tutto ciò che non trovi chiaro lo consideri nulla e disdegni di crederlo.


ABELARDO: Io non voglio essere un filosofo, se per esserlo devo andare contro Paolo; non voglio essere Aristotele se per questo è necessario che mi separi da Cristo, “perché non c’è sotto il cielo altro nome in virtù del quale io debba salvarmi”.

BERNARDO: “Homo dissimilis sibi”! (Un uomo che si contraddice!)


ABELARDO: Ascoltate, affinché ogni trepida preoccupazione, ogni incertezza sia bandita dal cuore che batte nel mio petto, ascolta quello che sto per dirti: io ho fondato la mia coscienza su quella pietra sulla quale Cristo ha edificato la sua Chiesa.

Imperversi la tempesta, io non ne sarò scosso. Per quanto soffino i venti io non mi muoverò. Le mie fondamenta poggiano su una salda pietra.


ELOISA: Oh…Abelardo, Abelardo… a decidere del valore di una vita, come di un’azione, sono i pensieri segreti, ma consapevoli, le finalità che si perseguono nel mistero della coscienza. Quali furono i tuoi?

Cosa ti spinse a tanto, tu lo hai ravvisato?

Io, ho rasentavo la disperazione, sentimento anticristiano per eccellenza, il peccato stesso di Giuda, all’idea di non riuscire a trovare una forma di espiazione al mio pentimento. Nella disperazione del tuo amore, ho guardato nell’oscurità, la disobbedienza del mio corpo e l’ammutinamento dei miei pensieri..

Il tempo mi ha consegnato alla pace, la preghiera la grazia.

Ora, alle tue parole rispondo, forse in forma apparentemente enigmatica, che:

“Che importa ormai quello che avevamo voluto, Dio ci ha condotti la dove non volevano”.


“Eloisa"

(Tratto dall’Epistolario di Abelardo ed Eloisa)


 

Con:

Admir Cupi ……………..Abelardo giovane

Eleonora Cirafici…………….. Eloisa giovane

Alessandro Taverniti ……Abelardo

Silvana Tozzi…………….Eloisa

 

Voce registrata di Eloisa………...……Silvana Tozzi

Voce registrata di Bernardo…………...Sandro Pace

Voce registrata di Abelardo……….…..Vincenzo Muriano

Voce registrata Abelardo giovene…….....Admir Cupi

 

Costumi:

Angela e Rosalba Cerra

 

Realizzazione video:

Leonardo Manzoni

 

Musiche a cura di:

Roberto Uberti

 

Drammaturgia e Regia:

Claudio Cerra


(Commenti dall’Epistolario di Abelardo ed Eloisa)


“Ed Eloisa?

Le sue prime parole recano una data tarda, molto probabilmente il 1132. Dal lontano giorno dell’Argenteuil, da quelle parole soffocate nel pianto e riportate da Pietro nella sua autobiografia sono passati molti anni, più di dieci. E sono accadute molte cose.

I primi anni passarono verosimilmente nel silenzio e certamente nella disperazione: lo possiamo indovinare dalle parole e dai ricordi fissati più tardi dalla abbadessa. Eloisa non poteva dimenticare : era “giovane, facile preda alle lusinghe del piacere e il ricordo stesso dei piaceri già gustati raddoppiava il desiderio bruciante”; aveva sempre davanti agli occhi “i dolci piaceri dell’amore”, dovunque.

All’Argenteuil, dove rimase fino al 1129, la vita dovette essere durissima per la donna. Abelardo stesso confesserà più tardi che a spingerla nel chiostro era stata la sua gelosia per lei, così giovane che si sarebbe senz’altro rifatta una vita. E’ l’unico rimprovero che Eloisa gli muoverà per quella decisione che lui solo ha preso. “Solo di questo, te lo confesso, solo di questa tua mancanza di fiducia nei miei confronti mi addolorai grandemente… io che non avrei esitato un attimo a precederti e a seguirti nel cratere di un vulcano se tu me lo avessi ordinato… la mia anima non era più con me, era con te.”

Una testimonianza poetica (probabilmente, scritta prima della morte di Eloisa) dice:

(…) Il suo crudele amante le ordinò di abbandonare il mondo

(ma si può dire amante chi non ama ma è soltanto amato?)…

Ella obbedì per non mancare di eseguire con amore

Tutto ciò che poteva fare per aiutare lo sposo”. (…)

(Liberamente tratto da: “Eloisa e Abelardo”

Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri – Laterza)

(…) L’obbedienza e rinuncia all’espressione della propria interiorità non sono allora che l’ennesimo affermarsi della cifra costante del suo rapporto con Abelardo, che ha segnato tutti i momenti decisivi della loro storia: il suo piegarsi comunque, nel bene e nel male, alla decisione di lui, al di là del dissenso, del dubbio, della non convinzione, in un adeguamento motivato non da interiore consenso, ma da un annullamento amoroso nella volontà di lui. (…)

(…) Eloisa delinea senza reticenze la frattura che la separa da Dio, ma nelle sue parole non vi è rivendicazione di alterità, né quella volontà di prometeica ribellione, che pure a lungo vi sia voluto leggere. Vi è piuttosto consapevolezza d’errore e di rischio e richiesta d’aiuto ad Abelardo. A lui ella rivela una drammatica problematicità perché egli fornisca una risoluzione etica e spirituale, non più limitandosi alla preposizione di comportamenti modello, che possono anzi costituire per lei allettante tentazione ad un’esteriorità che lo compiaccia. Come giustamente sottolinea Peter Dronke, Eloisa sta cercando per se stessa un livello di integrità possibile nella sua specifica condizione, e lo chiede ad Abelardo, sollecitandolo tuttavia a non ripeterle soluzioni già proposte, che lei ben conosce e che non le sono sufficienti: “Non voglio che, esortandomi alla virtù e spingendomi al combattimento, tu dica: “La virtù si realizza nella debolezza”, e “Non sarà incoronato se non chi avrà combattuto secondo le regole”. Non cerco la corona della vittoria, mi è sufficiente sfuggire al pericolo: è più sicuro evitare il pericolo che andare in battaglia. In qualunque angolo del cielo mi collocherà Dio, per me andrà bene”. (…)

(…) Il valore discriminante dell’interiorità rispetto all’azione esteriore, che il pensiero etico contemporaneo, ed Abelardo in particolare, stanno scoprendo, e che Eloisa ha costituito principio assoluto di interpretazione dell’intera esistenza, la conduce qui con altrettanto lucida razionalità allo scardinamento della minuta normativa comportamentale della tradizione monastica, la cui inutilità, il cui pericoloso potenziale di ipocrisia proprio la sua esperienza aveva reso evidenti nelle sue lettere. (…)

(Liberamente tratto da: “Abelardo ed Eloisa” Epistolario –

A cura di Ileana Pagani - UTET)

“Abelardo, doveva essere proprio fuori di sé per credere che Eloisa avrebbe letto rapita il mirifico progetto che egli presentava a lei e alle sue compagne! Provvedere ai lavori domestici per il Signore, vegliare alle sue esequie, gemere sulla sua tomba! Pietro si prende per il Signore. Sogna di sé.

Forse Eloisa accarezza il ricordo di un’intesa scoperta, ma raggiunge Pietro nella desolata solitudine della conversazione intima, nell’impenetrabile cittadella del sogno. Fuori dal tempo. Lì risiede senza dubbio il più forte nodo della coppia, quello che, se si volesse, potrebbe scagionare l’inesauribile egoismo di Pietro.

In realtà, la badessa ha perseguito e raggiunto lo scopo che si sono prefisse diverse comunità femminili negli anni attorno al 1130-40, evidentemente ispirate dal successo di Fontevraud. L’indipendenza.

Eloisa prende atto di una distanza, che ora si avvicina alla lacerazione e al baratro. Da allora e per sempre, si dedica completamente all’avventura del suo piccolo “ordine del Paracleto”. Fine della corrispondenza dei due sposi, fine delle visite di Pietro al Paracleto.

Nel 1135, Eloisa ha circa quarantacinque anni.


Eloisa vive come fuori da se stessa, si comporta come se non esistesse altro avvenire che quello della sua opera. Ottiene una rivincita soffocando la sofferenza di Eva con il canto delle sue monache, in una sfida filiale a tutti gli amici saggi e ponderati, che insieme ai due Pietro, Abelardo e il Venerabile, applaudono alle prodezze di colui che è diventata “più di una donna.

La badessa ha offuscato la sposa, e forse occorre che la bilancia della storia misurasse la virtù dell’una e dell’altra”.


( Liberamente tratto da: “ELOISA” Abelardo, l’amore, il sapere -

Guy Lobrichon - Donzelli)



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