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Immagine del redattorecerraclaudio61

“LA PASSEGGIATA”

Messa in scena tratta dall’omonimo romanzo di Robert Walzer.

Uno spettacolo di Produzione Carciofirossi


Presentazione:


Suggestioni dal romanzo “La Passeggiata” di R. Walser e

da “Il passeggiatore solitario” di W.G. Sebald


[...] “Lei non crederà assolutamente possibile che in una placida passeggiata del genere io m'imbatta in giganti, abbia l'onore di incontrare professori, visiti di passata librai e funzionari di banca, discorra con cantanti e con attrici, pranzi con signore intellettuali, vada per boschi, imposti lettere pericolose e mi azzuffi fieramente con sarti perfidi e ironici. Eppure ciò può avvenire, e io credo che in realtà sia avvenuto”.

“Passeggiando si è fortemente assorti in ogni sorta di pensieri, perché sempre quando si passeggia, idee, lampi di luce e luce di lampi si affollano da sé per essere elaborati con cura. Strade e territori boscosi che somigliano a un tappeto, un silenzio come in un’anima felice, come in un castello fatato o in un fantastico palazzo di fiaba: come nel castello di Rosaspina dove tutto dorme”.[...]

[...] Come interpretare un autore che, pur così minacciato dalle ombre, sapeva diffondere ad ogni pagina una luce tanto amabile, un autore che stilava racconti umoristici per pura disperazione, che scriveva quasi sempre le medesime cose, ma non si ripeteva mai, un uomo al quale i suoi stessi pensieri affinati sulle minuzie diventavano incomprensibili, che era in tutto e per tutto con i piedi per terra e si liberava senza ancoraggio nell'etere, uno scrittore la cui prosa ha la peculiarità di dissolversi alla lettura, sicché già dopo poche ore quasi non ricordiamo più i personaggi, gli eventi e gli oggetti effimeri di cui parlavano le pagine appena lette?

Proprio nel punto che, ancora un attimo prima, ci pareva fondamentale, d'un tratto non si trova più nulla. Viceversa, dietro le “sciocchezze” di Walser si celano spesso profondità totalmente insondabili.[...]

Addentrandosi in tali “sotterranei” scaturiscono emozioni e segnali di un “mistero”, avvolto da soavità femminili; a sua volta immersa in una natura rurale, dolce, soave e materna.

[...] Scrivendo, egli disconosceva sempre l'angoscia nel profondo del suo animo e di continuo lasciava in ombra una parte di sé.

Dando prova di lucidità senza uguali egli rende conto della presunta origine del suo male in un'educazione costituita quasi esclusivamente da piccole incurie; di come – a cinquant'anni – egli continui ad avvertire in sé il bambino e il ragazzo di un tempo; della fanciulla che gli sarebbe piaciuto essere; della soddisfazione che prova nell'indossare un grembiule; della mania di persecuzione, costituito nel sentirsi circondati, accerchiati; di quel trovarsi interessanti perché qualcuno ti osserva.

Ciò che a lui importa, più che a ogni altro scrittore in pieno possesso delle sue facoltà mentali, è di essere il più possibile lucido, e immagino che, scrivendo questo romanzo, gli sia capitato spesso di pensare che proprio il rischio dell'ottenebramento gli consentiva di attingere talora una chiarezza di sguardo e di formulazione inaccessibile a chi è in piena salute.

Il suo ideale era vincere la gravitazione. Walser è un chiaroveggente nel suo piccolo universo.

Le sue scene durano appena un battito di ciglia, e anche alle figure umane che si affacciano nella sua opera è concessa soltanto una vita molto fugace.

Al momento della loro entrata in scena ci sembra di averle davanti in carne e ossa ma, appena vogliono guardarle più da vicino, sono già svanite.

Walser perse a poco a poco la capacità di focalizzare lo sguardo sul centro della narrazione e si invaghì invece, in modo quasi coatto, delle creature stranamente irreali che si palesavano alla periferia del suo campo visivo, creature sulla cui vita passata e futura non ci viene dato di sapere assolutamente nulla.[...]

[...] “Con attenzione e amore colui che passeggia deve studiare e osservare ogni minima cosa vivente, deve lasciare che il suo sguardo si posi dappertutto con spirito fraterno, deve saper aprirsi solo alla vista e all’osservazione, essere capace di tenere a distanza i propri lamenti e bisogni. Deve sapersi chinare verso le più minute esperienze quotidiane.”

“In mezzo alla bella contrada, io pensavo solo ad essa; qualunque altro pensiero veniva meno. Guardavo attento a quanto v'era di più piccolo, di più modesto, mentre il cielo pareva inarcarsi alto e scendere profondo. Nella soave luce d'amore credetti di poter capire, o di dover sentire, che colui che veramente esiste è solo l'uomo interiore”.[...]

Dal racconto dei suoi paesaggi svizzeri nascono ricordi d'altre terre conosciute.

Un sentiero (personale) che porta verso il mare, attraversando ulivi e vigneti, nell'arcaica oralità della terra. L'incontro con il Narratore passa attraverso la relazione che si ha con le cose (viste o narrate) e le loro immagini sedimentate in noi dal tempo.

“Imprigionate tra cielo e terra”.

Trasporre “La Passeggiata”, i suoi incontri e i suoi paesaggi, vuol dire decifrare attraverso il movimento interno quello esterno; quel contatto con le cose, divenendone il raccontato stesso, l'oggetto, la ragione del “ Passeggiare”; quella scoperta intima e ultimativa.

[...] Lo stesso Walser ha osservato una volta che lui, da un breve testo di prosa all'altro, lavorava in fin dei conti sempre al medesimo romanzo, un romanzo che si potrebbe definire un “libro dell'Io” a più fasi o frammenti. Ci sarebbe ancora da aggiungere che, in questo libro dell'Io, il protagonista, l'Io appunto, non si affaccia quasi mai sulla scena, ma rimane lì in un angolo, o per meglio dire nascosto in mezzo alla folla delle altre figure di passaggio.[...]

[...]«Con un canto di questo genere una donna, se sappia avvalersi di tutte le circostanze favorevoli e ascenda una scala di coincidenze numerose e singolari, può, come stella nel cielo dell'arte canora, commuovere molti spiriti, guadagnare grandi ricchezze, trascinare un pubblico a tempestose ed entusiastiche manifestazioni di plauso e cattivarsi l'amore e la sincera ammirazione di re e di regine ».[...]

Nella messa in scena viene messo in evidenza, all’inizio e alla finale - due analogie significative -tra la Passeggiata di Robert Walzer e un altro grandissimo romanzo ottocentesco: Delitto e Castigo” di Dostoevskij. Rivelando per noi un intima concordanza drammaturgica, se pur nei differenti propositi formali, tra i due grandi scrittori, nei due romanzi.

Da “Delitto e Castigo” di Dostoevskij:

“In una giornata estremamente calda del principio di luglio, verso sera, un giovane scese in strada dalla stanzuccia che aveva in subaffitto nel vicolo di S. e lentamente, come fosse indeciso, s'avviò verso il ponte di K. Per la scala, evitò felicemente l'incontro della sua padrona di casa…” [...]

Dall’inizio de “La Passeggiata” di R. Walser:

“Un mattino, preso dal desiderio di fare una passeggiata, mi misi il cappello in testa, lasciai il mio scrittoio o stanza degli spiriti, e discesi in fretta le scale, diretto in strada. Sulle scale mi venne incontro una donna dall'aspetto di spagnola, di peruviana o di creola, che ostentava non so quale pallida e appassita maestà…” [...]


La “Passeggiata” è il viaggio - attraverso il racconto - del protagonista che si descrive nel viaggio stesso. In quel vagabondaggio apparentemente domestico, mascherato perfino nei toni e nell’uso delle parole stesse - mai eccessive o cariche di “sentimento” - un mondo interiore carico di ombre e dolori intimi; quel mondo della mente che è il vero itinerario, la panoramica del racconto.


In questo breve romanzo la geografia del femminile è la chiave di volta che crea gli eventi e su cui gli eventi stessi sussistono. Sia che il protagonista ne sia consapevole o meno.

Un “vagabondaggio poetico”, vagato e vagante, in un paesaggio amorevole e matrigno allo stesso tempo. Scritto da un uomo, Robert Walzer, che non vivrà, e mai conoscerà, una donna in tutta la sua vita.

In ultimo, come non sentire ancora quell’’eco nel finale della Passeggiata, quei riverberi che apparentemente sembrano ancora avvolti nelle ombre e nella nebbie sentimentali, di un Walzer forse troppo vincolato dal suo tragico destino per poterli palesare apertamente. L’eco di quella luce - via d’uscita - che riverbera, invece, dal romanzo di Dostoevskij:


[...]…andò sulla riva, sedette sulle travi accatastate presso la baracca e si mise a guardare il fiume largo e deserto. Dall’alta sponda si scopriva un ampia distesa.

Là era la libertà, e vivevano altri uomini, per nulla simili a quelli di qui, là il tempo stesso si era come fermato, come se non fossero ancora passati i secoli di Abramo e delle sue greggi.

A un tratto si trovò accanto Sonja. Gli si era avvicinata quasi senza farsi sentire sedendosi al suo fianco. Era ancora assai presto; la frescura mattutina non s’era ancora mitigata.

Ella gli sorrise gentile e gioiosa, ma al suo solito, gli tese la mano timidamente.

Ma ora le loro mani non si distinguevano; egli gettò di sfuggita un rapido sguardo, non disse nulla e abbassò gli occhi a terra. Erano soli, nessuno li vedeva. Il guardiano in quel momento era voltato dall’altra parte.

Come ciò fosse accaduto neppure lui lo sapeva, ma d’un tratto si sentì come afferrato e gettato ai piedi di lei. Piangeva e le abbracciava le ginocchia. Nel primo istante ella ebbe una gran paura e il suo viso si fece d’un gran pallore mortale. Balzò su e lo guardò tremando. Ma subito, in quell’attimo stesso, comprese tutto.


Dal finale di: “Delitto e Castigo”


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